Demetra e Persefone

Vincenzo Guarnaccia

(da "Balcone a levante", Adriatica, Milano)

Demetra s'affacciò dallo spalto di Enna e volse lo sguardo sulla pianura sottostante per cercarvi la figlia. L'està era caduta e la Dea si sentiva triste, così sola nel vasto tempio bianco dove le corone spicee annerivano e si sgranavano e i nidi delle rondini si facevano deserti. I contadini e i caprai, ebbri dietro le peste di Dioniso ormai non la curavano più ed anche la figlia l'abbandonava attratta da un bisogno nuovo d'indipendenza e di solitudine. La Dea aveva esperimentato da immemorabile tempo la ingratitudine degli uomini e non poteva più dolersene ma dell' abbandono della figlia soffriva assai, come d'un male che la colpiva nella sua potenza di celeste e nel suo cuore di madre. A che valeva la forza del suo nome che penetrava lo spazio universo e stava immobile ed eterno nel tempo, se non riusciva a
sottrarre dalla sua limitatezza e caducità la figlia? Impotente assisteva ogni giorno al trasformarsi di essa con lo stesso chiuso dolore d'una madre mortale: le sorprendeva negli occhi pensieri egoisti, nel gesto insofferenze di freni, nella voce accenti di volontà: tutti i segni d'una; vita interiore alla quale lei, madre, partecipava da lontano, per ricordo, o come estranea; e non poteva nulla: non poteva fermarla. in uno di quei dolci momenti di fanciulla ai quali s'abbandonava ancora per qualche istante, con quei suoi occhi di lago meravigliati di tutto, quel suo sorriso di corolla che si schiude, quelle sue trecce di seta e di sole neglette sulle spalle; fermarla in quell'istante e portarsela per mano, sempre bisognosa della tenerezza materna come dell'aria, per l'eternità.La Dea tornò a guardare e poi chiamò con voce velata: - Persèfone, Persèfone! - ed attese che il vento le recasse la voce della figlia squillante come timbaletto d'argento; senti, invece, la sua smorire lontano e ritornarle un'eco rotta, come un singhiozzo. Chiamò ancora costernata, por s'avviò verso la conchetta del lago Pergusa. E camminando pensava a un caro gioco di fanciulla e s'aspettava che la figlia sbucasse vociando dai mirteti
per farle paura. Delusa, dopo un buon tratto, tornò a chiamare, e avanzò il passo spinta. da una vaga agitazione. Ad uno svolto si accorse d'aver perduto il sentiero giusto e tornò indietro, ma si confuse di più, e andò aggirandosi di qua e di là, ansante,fra alberi, siepi, cespugli e muri. Finalmente usci sulla spianata del lago, trovò le, orme dei piedini di lei e respirò di sollievo. - Ecco là, la sbadata, dove lascia il suo velo! - Corse a raccattarlo, ma lo trovò scerpato fra ghirlandelle disfatte di roselline e di colchici. Fu ripresa dall'agitazione d'un momento prima e tornò a chiamare per calmarsi e scacciare il pensiero triste che già la pungeva. Ma quando vide, d'intorno, il suolo pestato e smosso dalle Orme profonde d'un piede forte, non capiva se di bestia o di Dio, e scopri, più fungi, solchi larghi di ruote immani e peste. di zoccoli giganti, la sua divina austerità scomparve e, prima di poter riflettere, si slanciò in una corsa sfrenata dietro le tracce di quelle ruote, con velocità d'uragano e correndo ululava il nome della figlia con la speranza di poter fermare il rapitore solo con l'urlo del suo amore di madre e della sua ira di dea: 
- Persèfone,Persèfone, Persèfone! - Sotto il suo passo l'isola tremava e alle sue grida si commovevano i cieli e le acque e le pietre dei suoi templi e i chicchi del frumento nei granai: anche Efèsto, sotto l'Etna, n'ebbe pietà e s'accanì sull'incudine, per temprare la folgore con cui Zeus padre avrebbe vendicato il dolore della Dea.
Pervenuta al lido siracusano Demetra s'arrestò; le tracce del carro finivano li, poi incominciava un infinito senza segni: il mare. La Dea s'abbattè sulla spiaggia e pianse. Allora fu l'inverno: il cielo si gonfiò di nuvole e s'abbuiò il sole, il mare s'illividì, venti rapinosi trascinarono foglie morte e uccelli intirizziti e dall'Etna la neve s'ammutinò nella tormenta e coprì l'isola in un bianco sudarlo.
Tra i nembi squarciati Zeus s'affacciò, e accennando con l'immortal capo disse alla Dea ch'era vano il suo pianto: il Fato è sordo a ogni preghiera, anche a quelle d'una Dea immortale. Persèfone oramai regnava nella legione dell'ombra. Sposa Plutone, aveva anch'essa raggiunto l'eternità. Stesse allegra la madre, che fra sei mesi ella sarebbe tornata e per sei mesi sarebbe rimasta con lei.
La madre, invece, continuò a piangere, perché la figlia era diventata sì una Dea, ma non era più la sua bambina, e l'eternità che aveva raggiunta, comune a tutti gli altri Dei, era eternità di dolore; ella avrebbe voluto, invece, darle l'eternità del Sorriso, fermandola nella sua fanciullezza. Tornò a Enna e, nella solitudine fredda, attese...
Trascorsero esattamente sei mesi, secondo il volere di Zeus, e una mattina la figlia tornò. Aveva deposto la sua aria regale ed era una semplice giovane, pianse sulle braccia materne poi ritrovò le sue vesti, un po' corte un po' leggere, le indossò e usci a ritrovare i luoghi della sua spensieratezza.. 
La madre s'affacciò dallo spalto ventoso per seguirla con gli occhi e ripeterle, come
un tempo, le tante raccomandazioni, ma appena fuori assistette a un fenomeno mirabile: man mano che la giovinetta procedeva, la terra sorda si svegliava all'intorno con sussurri d'erbe tenere e nappi di gemme per ogni ramo; il cielo si faceva profondo e sventolava sete azzurre e veli di nuvole; profumi d'alghe giungevano dai tre mari trascinati da mandrie mansuete di venti, con gridi di rondini e nugoli di pòlline, e lontano, immenso, l'Etna poggiava al sole il capo divino e fumava pigro e straluceva come braciere di argento.
Il mondo partecipava alla gioia della Dea, come un giorno al suo dolore e si faceva nuovo e iniziava mille altre vite. Demetra n'era felice, ma con sensi umani, limitatamente, perchè sapeva che la sua felicità non poteva essere eterna: fra sei mesi tutte quelle immagini di vita sarebbero arrivate al loro termine ultimo e l'inverno sarebbe tornato con la morte. Oramai anche per lei, Dea, il tempo non era più immobile e le avrebbe segnato gli anni con l'alterna vicenda della gioia e del dolore.

 

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