La Fata Dragontina

Gaspare Gozzi

A' que' tempi ne' quali era grandissima la riputazione dei cavalieri della Tavola Rotonda e quando gli uomini di grande animo, abbandonato l'ozio della famiglia, salivano a cavallo e con la lancia sulla coscia andavano per le selve in traccia di avventure, fu già nobilissimo principe il quale s'invogliò di aggirarsi per la terra e di afre quello che facevano cotesti erranti cavalieri. Ma avendo udito che, quando ritornavano alle case loro, ragionavano delle grandissime imprese che avevano fatto dell'uccidere giganti, del combattere co' diavoli dell'inferno, e fra tante faccende non si diceva mai, o almeno di rado, a quale osteria avevano mangiato; e parendogli, oltre a ciò, che venisssero a casa magari sparuti che parevano graticci da seccar lasagne al sole, disse fra sè: Questo so io bene che a me non interverrà. Egli è una bella cosa acquistar gloria, e intendo anch'io  di fare come gli altri; ma poiché il cielo, oltre l'avermi dato un gran coraggio, mi ha conceduto anche di poter empiere la borsa, io non voglio correre pericolo di pascermi di fogli come i bruchi, o di nebbia, e intanto anche di non dormire sulla terra. Per la qual cosa, fatti grandissimi provvedimenti di danaro e  di robe, incominciò il suo viaggio; e cavalcando un giorno lungo una montagna, alzò gli occhi ad una certa balza, e vide in greppo intagliate queste parole:

O tu che passi, s'esser vuoi beato,
nelle viscere mie cerca un tesoro:
la fata Dragontina l'ha allogato.
Sarò del tuo valor tutto quest'oro.
Non istancarti quando hai cominciato,
che ti converrà far molto lavoro,
ma non senza fatiche, arti e perigli
giungono ad alto di Fortuna i figli.

Così dicea la scritta, e bastò a invogliare il magnanimo principe a quell'impresa, il quale mandò incontanente intorno pel paese alcuni dei suoi, che accordarono a opera mille uomini a tanti denari per capo ogni dì, fino a tanto che avessero spezzato quel monte e fossero giunti alluogo del tesoro. Scarpelli, zapponi e strumenti di ogni genere incominciarono a far suonare l'aria d'intorno; picchia, ripicchia, fece tanto quella genìa che aperse una strada nella montagna, e in poco fu traforata fuor fuori, si che passava dall'una all'altra parte. Ma quando il principe fi giunto dalla parte di là, trovò un profondissimo stagno e una scritta che diceva:

Innanzi è l'oro; se vuoi far guadagno
dèi passar oltre, e non a nuoto o a remi,
ma di sassi riempire questo stagno.

  • bene, e quest'anche tocca a me, disse il principe: e aperte nuovamente le borse, fece una bella diceria a quei villani, gli pagò il doppio e furono ruotolati sassi, greppi ceppi e altro, che in pochi giorni fu ripieno lo stagno, tanto che si poteva passar oltre a piedi asciutti. Quando fu di là dallo stagno, fatti pochi passi, all'entrare di una folta e grandissima selva, ritrovò intagliate nel tronco di un pino non so quali altre parole che significavano che, per giungere veramente al luogo dove il tesoro era riposto, si avevano a tagliare gli alberi della selva ed atterrarla del tutto. - Oh! disse il principe, l'opera è più lunga di quello che avrei stimato nel principio, e oggimai tanto ho speso che poco più mi rimane da spendere. Ma che si ha a fare? Questa sia l'ultima speranza. Ad ogni modo, se la mi riesce, io ne acquisterò un grandissimo tesoro, che ben dee essere tale, dappoichè la fata Dragontina l'ha qui celato con tanta cura, e mi ristorerò finalmente di tutti i dispendi che ho fatti fino a qui. Vadane ogni cosa, che m'importa? - E così detto, accenna quello che si deve fare. Si taglia, si sbarbica, si fa rumore che assorda; e appunto, eccoti che gli si presenta un'aperta e larga campagna, nel cui mezzo vide un'orribile dragone , il quale al primo apparire del principe rizzò il capo e gittando fuoco dagli occhi e dalla bocca, gli disse: O di tutti gli uomini che vivono, il più baldanzoso e temerario, dove sei tu venuto a morire? Qui è il tesoro della fata Dragontina collocato, ed io sono il custode di quello. E' però, dappoichè tu hai avuto il coraggio di penetrare per tanti rischi fino a questo luogo, vedi se hai animo di affrontaeti meco a battaglia. Dice la storia che quando il principe udì il dragone a favellare, gli si arricciarono i capelli in capo e gli corse un certo ribrezzo di freddo per tutte le vene, tanto che s'egli avesse potuto farlo con suo onore gli avrebbe mandati incontro i mille uomini che aveva adoperati negli altri lavori; ma ricordandosi che quella pure faccenda che toccava a lui, e che giunto era il punto di acquistare il tesoro fece cuore e , calatasi in sugli occhi la visiera, pose mano alla spada e andò contro il dragone. Si appiccò una zuffa che non fu mai veduta la più bestiale, perché il povero principe non aveva solamente da combattere coi denti della bestia, ma col fuoco e col fumo. Quella maledizione parea una fornace, e sputava carboni accesi con tanta furia che pareano gragnuola, e di quando in quando gli dava strette co' denti ad una spalla o ad un braccio, che se non fosse stato di finissime armi guarnito, gli avrebbe sgretolate le ossa come cannucce.
    Egli all'incontro menava di taglio e di punta senza saper quello che si facesse, quasi cieco dal fumo, e una volta  fu vicino a perire, perché menando un grandissimo riverso con quanta forza potè, fu portato dal peso della spada, che non trovò in che percuotere, colla faccia  in terra, sicchè il dragone gli fu addosso; e se non era presto a riazzarsi in piedi, l'avrebbe strangolato. Finalmente, quando piacque al cielo, più per caso che perch'egli sapesse quello che si facea, la spada calò sul nodo del collo al dragone e gli spiccò il capo; di che si avvide piuttosto alle grida di allegrezza dei suoi, i quali stavano a veder la zuffa da lontano, che per saper egli quello che avesse fatto, perchè non conosceva se fosse notte o giorno.
    Intanto dov'era caduto il dragone si aperse la terra di sotto, e quello ne fu inghittito,e di là a poco uscirono dalla medesima apritura sei donzelle vestite di bianco, bellissime, quanto sono tutte quelle degli antichi romanzi; cinque delle quali aveano in mano certe urne piene di monete coniate, e la sesta un'ampolla con dentrovi uno squisito balsamo per guarire ferite; le quali andate innanzi al principe gli presentarono ogni cosa come sua, per parte della fata Dragontina loro signora, e cantarono una canzone in lode  del suo mirabile valore. Il principe le ringraziò, e le pregò che per parte sua facessero i convenevoli colla fata; e quelle  sparirono. Allora il principe, ricolte le urne e l'ampolla, si fece stendere  da' suoi un agiato padiglione, e postosi a letto, ordinò di essere unto col balsamo, e in breve potè guarire e ristorarsi delle forze perdute.
    Quando egli fu sano volle rivedere i conti di quello che aveva speso nell'acquistare il tesoro, e dall'altra parte noverare le monete che aveva ricevute dalle donzelle, e trovò che il conto era pareggiato, e che non aveva vantaggio di un quattrino; e oltre a ciò vide che il balsamo era appunto stato quella quantità che gli era bastata per risanarsi delle ferite,e  che non gliene era sopravanzata una gocciola.
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