UN BEL SOGNO

Giuseppe Ernesto Nuccio
(dai "Racconti della Conca d'oro", Bemporad, Firenze)

Ciro vide un piccolo lago e torno grandi alberi fronzuti. Era quasi buio, come avanti l'alba. Poi la luna s'accese nel cielo e mandò la sua più bella luce. Allora gli alberi e le acque si vestirono di pagliuzze d'argento, tremolanti.
C'era dapprima un silenzio pieno, poi, d'ogni punto, vennero, a coro, zirli, gorgheggi, sciacquii e lieve discorrer di fronde tra loro, e poi, ancora qualche canto d'uccello, ma che uccello!
Ciro guardava e  udiva, lieto, stupito. Ad un tratto, vide venir di laggiù una coppia di cigni bianchi come la neve, anzi come la luce lunare; poi, dietro, un'altra coppia, e poi ancora un'altra; tutte in fila. I cigni s'avanzavano lenti lenti, maestosi, flettendo tutti insieme il capo bianco dal lungo collo. Trascinata dai cigni, venne avanti una barchetta d'argento con i remi e la prora di oro lucente.
E dentro la barchetta che c'era? Ecco: c'era un reuccio vestito di velluto azzurro, con un bel manto d'ermellino bianco sulle spalle e un berretto ampio, pure d'ermellino, sulla capigliatura folta.
Attorno al reuccio c'erano quattro fanciulletto vestiti di bianco. E ogni fanciulletto teneva una mandòla in mano. Ciro guardava queto e muto. Che avrebbe fatto il reuccio? Che avrebbero fatto i paggettini?
Ma ecco che ora, da ogni punto, accorrevano altre barche. E dentro alle barche c'erano uomini, donne, fanciulli e fanciulle; tutti belli, tutti queti, tutti silenziosi; nemmeno i remi facevano rumore quando si tuffavano. Ad una ad una le barchette si misero torno torno a quella del reuccio. E più barche c'era, più ne venivano, finché lo specchio d'acqua, vestito di pagliuzze d'argento, ne fu pieno. Quando tutte le barche si furon fermate, i quattro paggetti toccarono le mandòle e venne fuori un accordo tanto gentile che le raganelle, le cicale, i grilli, gli uccelletti, fin le fronde degli alberi si tacquero per udire, e anche la luna si fece più in qua nel cielo. Ma più dolce ancora fu il canto del reuccio.
Oh che voce! Oh che voce d'angiolo! Dove mai ne aveva udita una uguale a quella, Ciruzzu? Eppure gli pareva d'averla udita un'altra volta. Ma la stessa? Ma così dolce? Si, la stessa; così dolce!
Ciro non udiva le parole, no; ma capiva quel che il canto voleva dire: cose buone, cose care; ciò che dice la mamma al figliuolo appena nasce, o quand'è malatino.
E guardava muto, col cuore sospeso. Il reuccio era voltato di là e la voce andava su su, verso il cielo, dove c'era la luna ad ascoltare.Ma poi il reuccio si voltò, e Ciro allora protese le braccia, fece uno sforzò, gridò: - 'Nzuliddu' - e, patapunfete, cadde giù dalla seggiola dove s'era addormentato.

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