Come volli bene alla luna

Angiolo Silvio Novaro
(da "La Bottega dello Stregone", Treves, Milano
)

Questa che ti voglio raccontare è un'avventura occorsami anni fa quando ancora studiavo al ginnasio.
Era una sera di fin d'aprile, e per la prima volta s'era entrato, con l'odor della primavera, un gran garrire di rondini.
Dopo desinato una voglia matta di correr in giardino m'aveva morso il cuore; ma c'era un guaio: la lezione da imparare: tre strofe del Tasso che incominciavano:

Gerusalem sovra due colli è posta
d'impari altezza...

Il babbo che molto amava i poeti e anche Torquato Tasso, m'aveva subito aperto il libro e sciorinato davanti agli occhi le bellezze di quel brano, interrompendosi spesso a esclamare:
- Non senti che armonia? E quei colli non ti par di vederli? 
Io rispondevo di sì, ma veramente non vedevo nulla: udivo le rondini di fuori che gridavano:
- Qui, qui! Qui, qui!
Mi sforzavo a leggere, ma le parole non si lasciavano acchiappare; i versi danzavano sul bianco della pagina, si mescolavano insieme perdendosi in una specie di nebbia.Tre volte m'ero accinto a recitare:

"Gerusalem... Gerusalem... Gerusalem..."

Alla quarta, scoraggiato, ruppi in pianto.
- Questo ragazzo ha sonno - disse la mamma. - Lasciatelo uscire. L'aria del giardino gli darà una scossa.
Il babbo non si oppose. Avvertì solo:
- A letto non si va senza saperla a dieci!
Il giardino era buio e muto. Le rondini s'eran già dileguate.
Io cercavo una panca, volevo abbandonarmi lì sopra, e piangere ancora.
Stavo per sedermi, quando intesi sospirar tra le foglie.
- Chi è là? - chiesi non senza un po' di timore.
- Sono io, l'Alloro, non mi riconosci?
Difatti, era proprio lui.
Tesi l'orecchio, e colsi un altro sospiro.
- Tu gemi - dissi - che hai?
- Sono triste, ragazzo mio, triste fino alla morte!
- Anche tu? O come mai? Forse perché sei vecchio e pensi che presto ti toccherà morire davvero?
- Al contrario: desidero la morte, io.
- Sei dunque stanco della vita?
- E come potrebb'essere diversamente? Da un buon paio di secoli eccomi inchiodato su questo palmo di terra, condannato a  vedere sempre le stesse cose: quel corno di collina a sinistra, quel cantuccio di pianura a destra, e questo vuoto monotono e stupido mare davanti. Che male ho fatto per meritare questo castigo?
- Povero Alloro - dissi io. -  Che ti bisognerebbe per essere contento?
- Io? Non essere l'Alloro. Essere per esempio una creatura umana come sei tu, potermi muovere, cangiar di posto, vedere e imparare cose nuove e diverse... Oh tu sapessi, la sera, quando intorno mi cresce l'ombra, con che invidia penso a te fortunato che puoi leggere quanti libri vuoi al chiarore della tua lampada, e conoscere e ammirare migliaia di cose belle e interessanti che io non so neppure di nome...
Siccome io tacevo, l'Alloro aggiunse:
- Ma tu? Non dicevi ch'eri triste anche tu?
- Triste fino alla morte! Ti parrà strano, per un ragazzo, eppure è così. Questa benedetta scuola che mai non finisce! Questi continui compiti e lezioni, e dover leggere leggere leggere, tenere a mente, far profitto, mai sbadigliare, mai dimenticare!... Tu vai in sollucchero per i libri. Io li odio, perché son loro che mi rendono infelice. Vorrei farne un falò...
- E poi?
- E poi volarmene via.
- Come una rondine?
- Appunto. Quelle almeno han tutta la giornata libera e possono giocare a loro posta che nessuno le sgrida.
E quando sono ben sazie e sudate, ci hanno il loro bravo nido che le aspetta, e si gettano a dormire bell'e vestite...
Avevo appena detto "vestite" che un piccolo viluppo oscuro staccandosi dal cornicione della casa venne a cadere su l'Alloro il quale sussultò come urtato da un colpo di vento.
- Che succede?
- Nulla - rispose una vocetta femminile. Non inquietatevi. Sono io. La Rondine.
- Forse noi con le nostre chiacchiere t'abbiamo rotto il sonno?
- Che! Ero sveglia. Non potevo dormire.
- Saresti per caso triste anche tu? - chiedemmo ad una voce l'Alloro ed io.
- Fino alla morte, amici miei.
- Oh, racconta.
- Che posso raccontare? La mia vita è così semplice! Fatica e noia, ecco qui. Viaggiare ore e ore, giornate e giornate, per vedere cielo e acqua, acqua e cielo. Quando uno arriva ha diritto di riposarsi, nevvero? E nossignori! Correre, correre, correre, girar di qua e di là come l'arcolaio, spezzarsi ali e schiena per accattare  - indovinate che? - due insettucci che neanche bastano a sfamare un rondinotto. E pensar che son la madre di sette! Dico sette! Ah, maledetto il giorno che nacqui rondine!
- O che volevi nascere, dunque?
- Qualunque cose fuor d'una rondine, io: una pietra, un albero... te, per esempio, vecchio Alloro. Almeno a te non ti bisogna tanto affannare per procurarti da mangiare: non hai che allungare le radici... Non hai nessuna pena di figliuoli...
L'Alloro meditò un momento poi disse:
- Ma sapete che è curiosa? Siamo in tre che nessuno è contento. Tutti tre si vorrebbe cambiare. Io Alloro vorrei essere uomo; tu Uomo vorresti essere rondine; lei Rondine vorrebb'essere pietra o alloro o che son io. E' curiosa davvero.!
E suggellò queste parole con un'allegra risata.
Allora accadde un fatto anche più strano.
Di sul tetto della casa si affacciò la luna. Ci fissò tutti e tre poi disse:
- Povere creature che desiderate l'impossibile! Non sapete dunque che ogni esistenza è legata a una sua legge che  nessuna forza al mondo può rompere? Obbedire ciascuno alla propria legge, bisogna. Farsi di questa obbedienza l'ambizione, la soddisfazione, il piacere! E' questo il segreto per vivere felici! Credete a me, che di queste cose m'intendo e vi parlo per esperienza. Migliaia d'anni sono che percorro il mio vecchio cammino. Ebbene, non vi paio sempre sempre giovine e fresca lo stesso? Ora dunque: tu, Rondine, contentati d'essere rondine, e pensa a volare; tu, Alloro, contentati d'essere alloro, e pensa a verdeggiare; e tu, ragazzo mio, rallegrati d'esser uomo, e pensa a studiare e farti onore!
Ciò detto si scostò lentamente dal tetto e seguitò la sua strada nel cielo.
Ed io corsi a ripassar la mia lezione; e da quella sera imparai a voler bene ai libri, e anche un po' a Torquato Tasso, ma sopratutto alla luna.

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