CORSA DI FATE

Girolamo Ragusa Moleti

La piccola Arbi aveva finito di abbigliarsi. Con un pappo che le serviva da fiocco, s'era anche data la cipria. Si specchiò per  l'ultima volta in una goccia di rugiada, e si licenziò da quello specchio sorridendo alla sua immagine. Sulla soglia l'aspettava una biga fatta d'una fine conchiglia di madreperla, con seta di giglio. Quella graziosa biga aveva due margheritine per ruote e un baldacchino di bianchi petali di rose bianche. Due farfalle dalle ali cilestrine a macchie nere, attaccate al cocchio, percuotevano impazienti con le piccole zampe i rubini di cui era  acciottolato il cortile e rodevano il freno.

Appena Arbi venne giù dalla palazzina di corallo, d'un leggero salto montò sul cocchio, prese le redini, le quali non erano altro che due capelli biondi, rubati alla regina di Carlerania e le due farfalline presero il volo. Com'era bella  la piccola Arbi, quella sera d'aprile! Aveva un vestituccio fatto di fiore di oleandro. Al cappellino aveva una penna di colibrì e una fiammella di lucciola. Nel viale dov'era andata a passeggiare sotto l'ombra delle betulle c'era la sua rivale Zirca, la Fata dei Gelsomini, in un altro cocchio tirato da una libellula.

S'era fatto un gran chiasso per quella corsa delle due Fate rivali, e uccellini, fiori, farfalle, scarabei, serpicine, formiche, mosche d'oro, erano lì ad aspettare.

Un biodo ragno britannico volle mettere una forte scommessa per Arbi. Un negro calabrone, che stava per Zirca, domandò:

- Qual'è la posta? -

- Cinque mosche. -

- Accetto  anche per sei. -

La corse cominciò verso l'ora in cui sorgeva la luna.

Arbi frustinava le due farfallucce con un lungo stame di ninfea, ed era già a paro di Zinca, quantunque, nei primi momenti, fosse rimasta indietro.

L'inglese gioiva. Tutti gli spettatori guardavano intenti. Quelli del partito di Arbi gridavano  già : -Evviva, evviva! -

Zinca sorrideva; ma, ad un tratto, slanciò con tal furore la libellula alla corsa, che le ali della nobile bestia non si vedevano più, e cocchio e FAta parevano una cosa sola. In meno d'un minuto passò innanzi alle due farfalle. Arbi ode per un istante  il ronzìo della libellula, che  quasi sparisce dagli occhi in mezzo agli applausi fragorosi della folla. Pallida di rabbia, s'alza in piedi, percuote le farfalle, perde il cappelluccio, la manica le si straccia e le rimase nuda l'ascella e il pomo della spalla. Una farfalluccia perde una delle ali, e Arbi sèguita a dar colpi; ma, quando ai suoi due corsieri non restò che un'ala sola, il cocchio precipitò su di un cespo di rosmarino, e la bella e bionda creatura sarebbe morta se le Fate non fossero immortali.

Per tre mesi non si fe' più vedere: era rimasta assai accorata della vittoria della rivale. Prese in odio tutte le farfalle, che d'allora in poi, per suo comando e per sua vendetta, furono condannate ad essere vermi per metà della loro esistenza,

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