RACCONTI

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LA STORIA DELL'INCONTENTABILE

Paolo Lioy

Abitavano marito e moglie, luridi e affamati, in un grottone sulla spiaggia del mare. Lui, tutto il santo giorno ramingo da scoglio a scoglio, gettava l'amo a pesci che non abboccavano mai. Un mattino il mare era calmo, e il pescatore mezzo assopito guardava con la canna in mano. Sente uno strappo, tira, e viene su, penzolando dal filo, sbatacchiando la coda, un grossissimo barbio. - Ti prego, mormora il barbio, lasciami vivere, non sono io un vero pesce, sono un principe incantato, ridonami al mare liberami, via! - Il pescatore, tra per la meraviglia, tra per la paura, lo libera. Ritornato alla grotta, racconta l'avventura alla donna, e questa brontola subito: - E non chiedesti nulla, sciocco, che non sei altro ? Ben poteva il principe incantato fornirci almeno un premio un altro alloggio che non sia questa spelonca. Vai, vai, chiamalo, domandagli in regalo una capannuccia! -
All'uomo l'idea parve pazzissima, pure obbedì brontolando, si arrampicò sullo scoglio, chiamò. Il barbio venne a fior d'acqua. - La donna mia pretende che, in premio della libertà avuta, tu ci insegni dove e come cambiare alloggio da una grotta a una capanna. - Vai, disse il barbio, la grotta è diventata capanna. - 
E infatti, ritornando, non vide più l'orrida grotta, ma una graziosa casupoletta, con salottino, con tinello, con la cucina, con la camera da letto. Stette per ammattire dalla contentezza. - 
Che ti pare ?- disse alla sposa. Questa non disse che due parole  - Vedremo e penseremo. -  Mangiarono  e andarono finalmente a letto, avvezzi com'erano a dormire sulle alghe seccate al sole.
Passa qualche giorno e la donna dice al marito: - Che capannuccia meschina questa, e che cortiluccio e che orto da formiche! Il barbio poteva ben mostrarsi meno taccagno. vai, vai, chiamalo, digli che vogliamo un castello. - Il marito crede di sognare : - Un castello? Non si sta anche troppo bene così? Un castello!... - Sente che commetterà una sfacciataggine, che la cosa non è giusta; ma tanto per evitare rimbrotti obbedisce, va e si arrampica sullo scoglio.
Le acque s'erano fatte di colore turchino con riflessi grigiastri Zufolò, chiamò, venne a fior d'acqua il barbio, e alla domanda timida timida rispose: -  Vai e vedrai! - Andò. Non più la grottta, non più la casupola, e che vede? Vede un palazzo di marmo, camerieri curvi ad ogni uscio, statue, specchi, lampade, cuochi, tavole apparecchiate. - Che ti pare?... - disse alla donna. -  Mi pare che questo sia il paradiso, ee a te? - Dormiamoci su, - rispose seria.
Si coricarono in una sontuosa alcova, e il pover'uomo sul più bello del sonno senta una gomitata nel fianco. E' la moglie che lo sveglia. - Oh, gli dice, se io diventassi regina e tu re! - Bisognò contentarla. Il nuovo castellano si vestì, andò sullo scoglio. Il mare bolliva come una caldaia, e ne usciva un lezzo di cimitero. Il solito scongiuro, la solita risposta: - Vai e vedrai. - 
E infatti ritorna e vede addirittura una reggia. Sentinelle con pennacchi, soldati e tappeti sulla scala, sale dorate, donne, cavalieri, paggi, e sul trono la donna con la corona in capo.
- Questa volta disse il nuovo re abbracciandoo la nuova regina, questa volta nulla potremmo più desiderare. - Vero? disse la donna. Sono regina, ma tu devi subito andartene, devi chiamar il signor barbio e dirgli che regina non basta, imperatrice voglio essere. - Se non era per la corona, il marito stava per darle un ceffone! - Ma che sei matta davvero? le mormorò all'orecchio temendo che le dame e i paggi udissero. Ti pare poco regina! Imperatrice vuoi essere? - Si, imperatrice, e vai subito! - 
Andò, col groppo in gola, trasognato, sicuro che questa volta il barbio gli farebbe un brutto tiro. I cavalloni neri battevano sullo scoglio e buttavano per l'aria le spume. La domanda fu fatta con voce tremante, e la risposta? - La solita: - Ritorna e vedrai. - 
Ritornò e vide la reggia non più di marmo, ma di alabastro e d'oro, le porte d'oro, per valletti duchi, baroni e principi, e su un trono enorme, l'imperatrice.
Non sapea saziarsi di ammirarla. Finalmente le si avvicinò, ma non ebbe fiato di parlare, le restò innanzi con gli occhi fissi. - Ehi! disse la donna, che fai lì, grullo? Svegliati. Sono imperatrice, ed ora voglio essere Papa. - Papa! gridò il pover'uomo con voce così forte, che le dame, i cavalieri, i paggi sbalzarono per paura.
Papa! il barbio, se dirò questo, mi trarrà giù nel fondo del mare. - Papa voglio diventare, presto, cammina. - Il disgraziato tremava tutto, non poteva reggersi in piedi. Partì. Le nuvole s'ammucchiavano, s'agitavano le foglie con grandi strepiti, le onde scavalcavano gli scogli. Afferrato agli spigoli, fece la solita domanda, seguì la risposta: - Vai e vedrai! -
Ritornò, e vide una chiesa tutta circondata da palazzi: Mille e mille lampade illuminavano le navate. La folla era enorme. E su un trono sostenuto da tre colonne d'oro sedeva la donna con tre corone d'oro sul capo. La circondavano centinaia di preti, le rilucevano intorno migliaia di ceri. Imperatori e re le baciavano il piede. Il pescatore s'apre con gli spintoni il passaggio tra la folla pestando , urtando. Le si avvicina - Papa! gridò, sei davvero Papa? - Si, rispose seccamente la donna. - Sarai contenta ormai, puoi sognare grandezza più grande? Penseremo,- rispose asciutta asciutta. La notte si coricarono nel letto papale, ma mentre egli beatamente russava, una pedata lo fa precipitare dal letto. - Sai, disse la donna, cosa voglio essere?... Dio! ... -
Il poveretto sentì i brividi, si mise le mani nei capelli. Non ebbe forza di rizzarsi in piedi. - Dio vuoi essere? - Si! - disse la donna. E balzò dal letto in camicia, spinse il marito fuori dall'uscio, lo fece ruzzolare giù dalle scale, gridando: - Vai dal barbio, subito. parlagli ! - Andò mugolando, piangendo. Salì sullo scoglio. Il cielo, nero come la pece. Il mare, nero. I cavalloni alti come montagne. E con quanto fiato aveva in gola il meschino gridò: - Non le basta, non le basta! _ Ma che vuol altro di più? - gridò il barbio salendo a fior d'acqua. - Vuol essere... Dio!- urlò il pescatore. - Ritorna e vedrai! - disse il barbio.
Ritornò. Non più palazzo, né chiesa, né reggia, né castello, e nemmeno casupola. Niente! Vide soltanto la grotta nera, e sulla soglia una stracciona che masticava radici.
Qui finisce la storia dell'incontentabile. Non fa essa pensare alla nota leggenda che insegna ad essere contenti del poco di bene che si può avere, e a non credere mai che i propri dolori siano superiori ai limiti delle tollerabili sofferenze umane? E' la leggenda del disgraziato il quale continuamente accusava Dio di avergli data da portare una croce tanto pesante che niuno al mondo ne porterebbe l'eguale. Si sa cosa gli avvenne. Un angelo, stanco delle sue querimonie, ne ebbe pietà, lo pigliò fra le sue braccia, e su su , volando via per l'aria, lo trasportò nel campo dove a mucchi stanno ammassate le innumerevoli croci destinate per ogni mortale che nasce.
- Bada, gli disse, ciascuno ha da portare unaa croce, ma tu mi fai compassione, piangi tanto che di certo a te ne toccò in sorte una più d'ogni altra dolorosa; or guarda e scegli, scegli tra queste quale ti parrà più lieve. - Il piagnone, beato, cercò cercò. Questa no perché è irta d'aculei, quest'altra schiaccia col peso, e mille e mille ne scartava, tutte una più dell'altra tormentose. Finalmente, si fece tutto contento, e gridò: - Ecco, ecco, questa voglio, questa al paragone di tutte è leggera. - e così dicendo l'abbracciò stretta perché non gli fosse più tolta. - Questa? disse l'angelo. Ma questa è la tua, la tua che fin qui hai sempre portata! -

 



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