Il chicco di grano

Johannes Joergensen
(da "Parabole", Giannini e Figlio, Firenze)

Era una giornata d'autunno malinconica e fredda. Su tutte le siepi  c'erano i frutti rossi della rosa canina e del sorbo; su ogni foglia la nebbia aveva deposto una piccola perla: non si vedeva altro che dell'erba vizza e le foglie ingiallite. Per le vie fangose passava ogni tanto un barroccio solitario, e il barrocciaio con una grossa sciarpa di lana al collo, ogni tanto divincolava le braccia per riattivare la circolazione del sangue e riscaldarsi un poco. Era proprio una giornata triste! Quegli uomini che sono chiamati poeti se la passeggiavano e si rallegravano a vedere tutta quella tristezza; perché poi mettevano quella tristezza in versi, e la vendevano ai giornalisti illustrati.
Appunto quel giorno un uomo era uscito per seminare. Col suo sacco buttato sotto il braccio sinistro andava lentamente avanti, e con la destra spargeva il grano nel solco tracciato dall'aratro. Il campo era grande, e innanzi a lui si distendeva nero, solcato da linee uguali, che correvano per tutta la lunghezza l'una accanto all'altra.
Da lontano pareva che il campo andasse restringendosi, ma non era vero. Effetto di una illusione ottica, come quelle di cui ci parlano i libri, e che io non saprei davvero spiegarvi.
E l'uomo se ne andò fino in fondo, laggiù dove il campo pareva stretto. Quando vi fu arrivato, s'accorse che il campo era largo lo stesso, ma invece gli parve più stretta la parte opposta. E allora tornò indietro, e, quando fu giunto al suo punto di partenza, si rivoltò indietro daccapo. Pareva cercasse il punto dove il campo fosse più stretto, e che seguitasse ad andare perché non gli riusciva trovarlo.
Molti uomini passano la loro vita così. Cercando quel che è molto lontano da loro e quando l'hanno trovato si rivoltano, e, vedendo in lontananza quello che avevano lasciato, vi ritornano, perché ciò che è lontano li attrae sempre. In questa maniera passano la vita nel cercare, e si lasciano ingannare da un va e vieni senza scopo; non arrivano in nessun luogo e non trovano mai il riposo, la pace.
Ma il seminatore non somigliava punto a costoro. Ad ogni passo che faceva, spargeva del grano - era proprio grano bello, buono e tondo - i chicchi cascavano giù, rotolavano e si appiattavano nella terra nera e leggera.
Sèguitò a seminare fino a sera. Col suo sacco vuoto se ne andò allora a casa, a mangiare e a dormire.
Ci fu un chicco di grano che si trovò solo fra due zolle di terra nera e umidiccia. Quel chicco divenne spaventosamente triste.
Era buio, era umido, e l'oscurità e l'umidità aumentarono sempre più, perché la nebbia del giorno, al venire della notte, s'era sciolta in una pioggia fitta fitta. C'era da darsi alla disperazione. E il chicco di grano fece proprio così. Anche a rischio di accrescere il suo malessere, prese a frugare nella sua memoria e a fame uscire ogni ricordo di tempi migliori.
Ripensò al tempo in cui si ergeva in una spiga svelta, baciata dai sole, cullata dal vento, quando si sentiva beato come un bimbo in braccio alla mamma. Tutto il grande campo di grano color verderame era zeppo di spighe diritte; e, lassù, nel cielo azzurro c'era il sole raggiante, e tutte le lodolette cantavano dallo spuntare dell'alba fino a sera. E quando il sole tramontava non faceva freddo, non era umido come allora; ma la rugiada cadeva dolce come una onda rinfrescante sul grano infiammato dal sole, e la grande luna d'oro splendeva mitemente sui campi che maturavano. Che bei tempi erano quelli, ma passati ormai per sempre. Era venuto ahimè! il terribile giorno in cui la falce sibilava nei campi, e con il suono suo stridulo si era apèrta una via attraverso le spighe. E poi erano venuti i mietitori coi loro rastrelli, e le spighe erano state legate in covoni, caricate sui carri. Tutto quanto
il campo somigliava a un campo di battaglia, dal quale i morti e i feriti venivano di continuo portati via sui carriaggi.
E venne un giorno anche più terribile, quando nell'aia i coreggiati ballavano sul grano dorato, e lo colpivano senza pietà, col furore di un soldato che si batte alla cieca. E le spighe si dispersero; le famigliole dei chicchi, state sempre riunite fino alla loro verde giovinezza, e i chicchi isolati se ne balzarono via, ciascuno dalla sua parte, e non si rividero mai più. Ma nel sacco del grano almeno ci si trovava ancora insieme. Ci si stava un po' pigiati, è vero, e ogni tanto si respirava a fatica; ma almeno si poteva chiacchierare un poco insieme, c'erano dei compagni di sventura... Adesso, era l'abbandono assoluto, la triste solitudine, la distruzione certa!... Il chicco di grano sapeva che non poteva reggere all'umido: in quegli ultimi tempi era diventato tanto sensibile ! sentiva enfiarsi tutto, e la sua pelle gli si screpolava.
Sentiva che l'umidità gli si infiltrava sempre più... Non poteva tardar molto a essere inzuppato tutto quanto, da parte a parte, 'da quell'umidore. Che cosa sarebbe mai accaduto allora di lui?
L'indomani l'erpice passò sul campo, e il chicco di grano si trovò nelle tenebre più dense con terra sopra, terra sotto, terra da ogni lato. E l'umido continuò. Il chicco di grano si sentì molto
malato. Capiva che qualche cosa si spezzava e fermentava dentro di lui; l'acqua lo penetrava tutto, non c'era più il menomo cantuccio asciutto nelle sue viscere. Gli pareva che fosse la fine.
Rivolse allora un ultimo pensiero, un ultimo malinconico rimpianto ai giorni pieni di sole della sua vita, e prese a lamentarsi così:
- Ma perché fui creato, se poi dovevo finire in un modo tanto spaventoso? Era molto meglio per me non aver mai conosciuta la luce del sole, ed essere preservato da tanta angoscia! -
Allora una voce si fece sentire a quel povero essere abbandonato, e parve che la voce venisse su dalla terra:
- Non temere, diceva, non devi perire. Abbandonati fiduciosamente e volentieri, ed io ti prometto una vita migliore. Muori, perché voglio così, e vivrai.-
- Chi siete voi, che mi parlate? - domandò il chicco di grano, mentre un senso di rispettò lo invadeva tutto, perché sembrava che la voce parlasse a tutta la terra, anzi all'universo intero.
- lo sono Colui che ti creò, e che adesso ti vuole creare di nuovo. -
Allora il povero chicco di grano che stava morendo, si abbandonò alla volontà del suo Creatore, e non seppe più nulla di nulla.
Un mattino di primavera, all'anno nuovo un germoglio verde spuntò la testolina fuori dalla terra umida. Il sole splendeva così caldo che la terra fumava. E su, in alto, nell'azzurro cielo, un immenso stuolo d'allodole cantava.
Il chicco di grano, poiché il verde germoglio non era altro che lui, si guardò attorno inebriato. Era proprio tornato in vita, rivedeva il sole e sentiva cantare le lodolette. 
Ricominciava a vivere.
E non era solo, perché intorno a lui, nel campo, vedeva altri verdi germogli, un esercito intero; e in essi riconobbe i suoi fratelli, le sue sorelle.
Allora la giovane pianticella si sentì invasa dalla gioia di esistere, e le parve di dovere, in atto di pura riconoscenza, alzarsi fino al cielo é carezzarlo con le sue foglie.
E sembrò che la stessa riconoscente allegrezza avesse dato ali alle lodolette, che s'alzavano nell'aria il più alto possibile: e, via via che s'alzavano, il loro canto era più limpido, più puro.
E una voce, che questa volta non veniva dal basso, ma scendeva dall'alto, disse:
- Se il chicco di grano non muore, dopo essere stato gettato in terra, non produce nulla; ma se muore dà frutti copiosi.

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