STORIE

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Ombretta morta

Antonio Fogazzaro
(da "Piccolo mondo antico", Mondadori, Milano)

La povera, dolce Ombretta, posava nuda sul letto cogli occhi semiaperti e la bocca pure semiaperta. Il viso era leggermente roseo, le labbra nerastre, il corpo d'una lividezza cadaverica. Il dottore, aiutato da Ester, tentava la respirazione artificiale, portando le piccole braccia sopra il capo e lungo i fianchi, alternativamente, facendo pressione all'addome.
- Dottore! Dottore! -singhiozzò Luisa.
- Facciamo il possibile,- rispose il dottore, grave. Ella .si precipitò col viso sui piedini gelati della sua creatura, li coperse di baci forsennati. Allora Ester fu presa da un tremito.
- No, no! - fece il dottore: - coraggio, coraggio! - A me! esclamò Luisa. Il dottore l'arrestò con un gesto e fece segno a Ester di sostare. Si chinò sul visino di Maria, le mise la bocca sulla bocca, respirò più volte profondamente, si rialzò. - Ma è rosea! - sussurrò Luisa, ansando.
Il dottore sospirò in silenzio, accese un cerino, lo accostò alle labbra di Maria.
Tre o quattro donne che pregavano ginocchioni si alzarono, si accostarono al letto palpitanti, trattenendo il respiro. L 'uscio della sala era aperto; altri si affacciavan di là, silenziosi, intenti. Luisa, inginocchiata accanto al letto, teneva gli occhi fissi alla fiamma. Una voce mormorò:
- Si muove.
Ester, dritta dietro Luisa, scosse il capo. Il dottore spense il cerino. - Lana calda! - diss'egli. Luisa si precipitò fuori e il dottore riprese i movimenti delle braccia. Poi, quando Luisa ritornò
con la lana riscaldata, egli da un lato, ella dall'altro, si diedero a strofinar forte il petto e il ventre della piccina. Dopo un po', vedendo il pallore, il viso contraffatto di Luisa, il medico fece segno una ragazza di pigliare il posto. - Ceda, ceda, - diss'egli, perché Luisa aveva fatto un gesto di protesta. - Sono stanco,anch'io. Non è possibile. - Luisa scosse il capo, senza parlare, continuando l'opera sua con energia convulsa. Il dottore alzò silenziosamente le spalle e le sopracciglia, cedette il proprio posto alla ragazza e ordinò a Ester di far riscaldare dell' altra lana per coprire le gambe della bambina. Ester andò... Tutti singhiozzavano meno lo zio Piero. Seduto sul canapè, dove prima stavano il Gilardoni ed Ester, pareva impietrato. Non aveva una lagrima, non aveva una parola... La sua nobile fisionomia era piuttosto grave e solenne che turbata... Neppure domandava notizie; si capiva che non aveva speranza. E si capiva che il suo dolore era ben diverso da quelle chiassose nervosità passeggere che gli si agitavano intorno. Era il dolore muto, composto dell'uomo savio e forte.
Dall'uscio aperto dell'alcova venivan voci ora d'interrogazione, ora di comando. Nessuno però potè dire, per un'ora mezzo, di aver udito la voce di Luisa. Qualche volta venivan pure voci trepide, quasi liete. Pareva a qualcuno, là dentro, notare un moto, un alito, un tepore di Vita. Allora tutti quelli ch'eran fuori accorrevano per poi t.ornarsene in un silenzio accorato. Passarono le cinque. 
Il tempo durando piovoso la luce mancava.
Alle cinque e mezzo si udì finalmente la voce di Luisa. Fu uno strido acuto, inenarrabile, che agghiacciò il sangue nelle vene a tutti. Rispose la voce del dottore con un accento di premurosa protesta.
Si seppe che il dottore aveva fatto un gesto come per dire: -oramai è inutile; desistiamo - e che al grido di lei, aveva ripreso il lavoro.
Poi, nel lamento monotono che la pioggia minuta e fitta metteva a tutte le finestre aperte, il silenzio della casa parve divenuto più sepolcrale. La sala, il corridoio andavano diventando bui, Vi si andò avvivando il debole chiaror di candele che usciva dall'alcova.
La gente incominciò a ritirarsi, un'ombra dopo l'altra, silenziosamente, in punta di piedi. Si udivano poi sul ciottolato della via gli scarponi pesanti, passi senza voce.. La Cia si avviò pian piano al suo padrone, gli sussurrò all'orecchio se non volesse prendere qualche cosa: egli la fece tacere con un gesto brusco.
Dopo le sette, essendo partiti tutti gli estranei alla famiglia, meno il Toni Gall, Ismaele, il professore, l'Ester e tre o quattro donne ch'erano nell'alcova, si udirono dei gemiti lunghi sommessi, che quali non parevano umani. Il dottore entrò in sala. Non ci si vedeva.
Urtò in una sedia e disse forte: - C'è qui il signor ingegnere? -
Scior sì» rispose il Toni Gall e andò a pigliare un lume. L'ingegnere non parlò, nè si mosse.
Il Toni Gall ritornò presto con un lume e il dottor Aliprandi, che mi piace qui ricordare come un franco galantuomo, una bella mente e un nobil cuore, si avvicinò al canapè, dove sedeva lo zio
Piero.
- Signor ingegnere, - diss'egli con le lagrime agli occhi, - adesso bisogna che faccia qualche cosa lei.
- lo? - rispose lo zio Piero, alzando il viso.
- Sì, bisogna almeno cercare di condurla via. Bisogna .che venga lei e ci metta una parola. Lei è come un padre. Questi sono i momenti del padre.
- Lo lasci stare, il mio padrone, - brontolò Cia.- Non è buono per queste cose. Ci soffre e niente altro.
Adesso si udivano, insieme coi gemiti, voci tenere e baci.
L'ingegnere puntò i pugni sul canapè e rimase un momento a capo chino. Poi si alzò, non senza stento, e disse al medico: - Debbo andar solo?  
- Desidera che ci sia anch'io?
- Si
- Va bene. Del resto sarà inutile. Forzare non vorrei, ma tentare bisogna.
Il dottore mandò via le donne ch'erano ancora nell'alcova, poi si volse, dall'entrata, all'ingegnere e gli fe' cenno di venire.
- Donna Luisa, - diss'egli dolcemente, - c'è lo zio, il suo caro zio, che viene a pregarla.
Il vecchio entrò con viso pacato, ma vacillando. Fatti due passi nella camera si fermò. Luisa era seduta sul letto con la bambina morta in braccio; la stringeva, la baciava sul viso e sul collo gemeva, premendovi su le labbra, gemiti lunghi, inesprimibili.
- Sì sì sì - diss'ella - quasi con un sorriso tenero nella voce.
- E' il tuo zio, cara, è il tuo zio che viene a trovar il suo tesoro, la sua Ombretta, la sua Ombretta Pipì che gli vuol tanto bene. Si, sì, sì.
- Luisa - disse lo zio Piero - quiètati. Tutto è stato fatto quel che si poteva fare, adesso vieni con me, non star più qui, vieni con me.
- Zio zio zio - fece Luisa - con una voce grossa di tenerezza, senza guardarlo, stringendosi il cadaverino sul seno, cullandolo.
"Vieni qua, vieni qua, vieni qua dalla tua Maria. Vieni vieni qua da noi che sei il nostro zio, il nostro caro zio. No, cara, no, cara, non ci abbandona mica il nostro zio».
Lo zio tremò, il dolore lo vinse un momento, gli strappò un singhiozzo.
- Lasciala in pace - diss'egli -con voce soffocata.
Essa non parve udirlo, riprese:
- Andiamo noi, cara, andiamo noi dal nostro zio. Che ci andiamo, Maria? Sì, si andiamo, andiamo.
Si lasciò sdrucciolare dal letto a terra, si avviò verso lo zio stringendosi al petto col braccio sinistro la sua dolce morta, passò l'altro al collo del vecchio, gli sussurrò: « un bacio, un bacio. un bacio alla tua Ombretta, un bacio solo, uno solo ».
Lo zio Piero si chinò, baciò il visetto già deturpato amaramente dalla morte, lo bagnò di due grosse lagrime.
- Guarda, guarda, zio - diss'ella. - Dottore, porti qua il lume. Si si, non sia cattivo, dottore. Guarda, zio, che tesoro. Dottore!
L' Aliprandi era riluttante e tentò resistere ancora; ma quel dolore folle aveva qualche cosa di sacro che gli s'impose. Obbedì, prese il lume, e lo accostò al piccolo cadavere, che faceva con quegli occhi semiaperti e quelle pupille dilatate una pietà immensa ed era stato la Maria, la Ombretta gentile, la dolcezza del vecchio, il riso e l'amore della casa.
- Guarda, zio, questo piccolo petto come l'abbiamo maltrattato, povero tesoro, come gli abbiamo fatto male con tanto strofinare. La tua mamma è stata, sai, Maria, la tua brutta mamma e
quel cattivo dottore lì.
- Basta! - disse il dottore risolutamente, posando il lume sulla scrivania. - Parli pure alla sua bambina, ma non a questa, a quella ch'è in Paradiso.
L'impressione fu terribile. Ogni tenerezza sparì dal viso di Luisa. Ella indietreggiò cupa, stringendosi la sua morta sul seno.
- No! - stridette -no!

 

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