La capinera

Giovanni Verga
(da "Storia d'una capinera", Mondadori, Milano)

Avevo visto una povera capinera chiusa in gabbia: era timida triste, malaticcia; ci guardava con occhio spaventato; si rifugiava nell'angolo più lontano della sua gabbia, e allorché udiva il canto allegro degli altri uccelletti, che cinguettavano sul verde del prato o nell'azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lagrime. Ma non osava ribellarsi, non osava tentare di rompere il fil di ferro che la teneva carcerata, la povera prigioniera.
Eppure le volevano bene i suoi custodi, cari bimbi che si trastullavano col suo dolore e le pagavano la sua malinconia con miche di pane  con parole gentili.
La povera capinera cercava rassegnarsi, la meschinella; non era cattiva; non voleva rimproverarli neanche col suo dolore, poiché tentava di beccare tristemente quel miglio e quelle miche di pane; ma non poteva inghiottirle.
Dopo due giorni chinò la testa sotto l'ala e l'indomani fu trovata stecchita nella sua prigione.
Era morta, povera capinera. Eppure il suo scodellino era pieno. Era morta perché in quel corpicino c'era qualche cosa che non si nutriva soltanto di miglio, e che soffriva qualche cosa oltre la fame e la sete.

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