STORIE

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ITALIANO

 I due fratelli musici

Angiolo Silvio Novaro
(da "La bottega dello Stregone", Treves, Milano)

Pasquale e Benedetto erano fratelli; ed erano ciò che si dice due bravi ragazzi. Avevano una passione: la musica. Pasquale cantava, Benedetto sonava la chitarra. E facevano, con la musica, la felicità del villaggio.
La musica era così bella !
Aveva questo particolare : che chiunque l'udiva, immediatamente vedeva e possedeva ciò che desiderava. L'agricoltore, campi carichi di messi; l'avaro, oro a mucchi; i bimbi, uccelli coloriti che si lasciavano acchiappar con le mani; i vecchi la gioventù spedita e odorosa.
Naturalmente, col cessar della musica, le meraviglie uscite fuori per virtù sua scomparivano: ma non così però che non ne rimanesse nei cuori, con la memoria, una dolcezza capace di consolare. Perciò l'intero villaggio era contento, e si lodava dei due fratelli musici. Ma la madre loro, no. Essa era preoccupata, perché Pasquale e Benedetto crescevano senza imparare un mestiere.
- Iddio è buono: ci aiuterà.
- Iddio è buono, è vero, e aiuta gli uomini di buona volontà. Ma la vostra buona volontà dov'è? Fatemela un po' vedere.
Le comari a questo punto difendevano i ragazzi.
- Avete torto d'inquietarvi tanto - dicevano alla madre - I vostri figliuoli hanno la loro musica miracolosa. Non è forse una ricchezza? Oggi si tirano dietro  il villaggio. Domani si tireranno dietro la città, se vorranno.
La poveretta finì per rassegnarsi. Ma un mattino le toccò un nuovo dolore. Pasquale e Benedetto le dissero:
- Mamma, noi abbiamo deciso di andarcene per il mondo.
- O perchè volete abbandonare la vostra povera mamma?
- La nostra musica ormai tutti la conoscono,, qui. Noi vogliamo portarla fuori di qui, dove ancora nessuno la sà.
A costo di sentirsi spaccare il cuore in due, la madre diede il consenso. Accompagnò i due figliuoli fino all'ultima casa del villaggio, e li accomiatò dicendo:
- Iddio vi benedica.

***

Cammina, cammina, dappertutto recavano la stessa allegrezza.
Tutti si affacciavano alle finestre e alle soglie coi visi illuminati.
E in ogni luogo accadeva il medesimo: chi ascoltava la musica vedeva e possedeva ciò che desiderava.
I pezzenti e gli affamati, panni e pane a bizzeffe, le fanciulle, raggi di luna da farsene scialli preziosi; i ragazzi, cavalli alati da saltarci in groppa e volare.
La gente avrebbe voluto trattenere i due musici magari cent'anni. Li invitava nelle case e offriva loro tutto il bene che aveva. Ma loro si schermivano. "Grazie! grazie!". Accettavano appena una fetta di pane. E se lo mangiavano sui crocicchi delle strade come i mendici. E la notte dormivano alla campagna, al riparo d'un albero, col capo sopra un poco di paglia o sopra una pietra.
Ed erano beati. Poiché la musica era l'unico loro pensiero, l'unico amore e l'unico bene: e riempiva  e saziava i loro cuori. E tutto il resto era loro indifferente.
Tutte le rimanenti cose del mondo, belle o no, favorevoli o no, nulla!
Cammina cammina, una sera giunsero presso un castello cinto da un fosso d'acqua, dove il cielo riflettevasi tremolando.
- Come è grazioso questo! - disse Benedetto che era il più piccolo. - Noi potremo riposar qui, proprio sul margine di questo fosso. - Le strade intanto diventavano buie,e  una stella, di là dei merli del castello, brillò. Pasquale e Benedetto prima di coricarsi si accinsero, come solevano, a dare il loro concerto. Era la loro preghiera, quella; quasi un modo di rivolgersi al Cielo e dirgli: - Santo!
Avevano appena attaccato, che la saracinesca del castello si abbassò con fragore.
- Siete voi i due fratelli musici? - disse un valletto con in mano una torcia. - Il mio signor Principe vi desidera.
Pasquale e Benedetto esitavano.
- Come oseremo noi andare alla presenza del Principe? Non vedete come siamo polverosi? E con gli abiti logori e le scarpe rotte? - disse Pasquale, che era il più grande. Ma il valletto insistette. - E' il desiderio del Principe.
Allora i due fratelli si mossero. E mentre attraversavano una fuga di sale, il valletto raccontò loro la storia del Principe.
- Aveva un unico figliolo bello come il sole. Tre anni fa lo perdette, e ancora non se ne può consolare. Da quel giorno non ha riso più, non ha detto parola. E' soffocato dalla malinconia. La signora Principessa sua sposa è disperata. Che rimedi non han tentato i dottori? E i maghi? Ma nessuno gli ha valso, mi raccomando.
- Ma noi non abbiamo che una musica sola! - dissero Pasquale e Benedetto perplessi. Comunque, era tardi. Due battenti s'erano spalancati, e i fratelli musici si trovavano alla presenza del Principe. Il Principe stava immobile sul trono. Non aveva che trent'anni, e ne dimostrava sessanta. Era pelle e ossa, quasi trasparente. Non serbava, di vivo, che gli occhi, due grandi occhi scuri.
- Volete fare un po' di musica per il mio angusto consorte? - disse la Principessa ravviandosi in fretta i capelli.
Pasquale e Benedetto obbedirono. E fecero la loro musica col suore pieno di ansia fino all'orlo, desiderosi di rallegrare il povero Principe.
Allora accadde il solito fatto. Ognuno degli ascoltatori vide e possedette ciò che desiderava. E il povero Principe, con istupore di tutti, vide e possedette il perduto figliuolo. La Principessa si dibattè a terra e abbracciò i ginocchi dei giovinetti, fuori di sè dalla gioia. - Ancora! Ancora! supplicava il Principe, trasfigurato con le lacrime agli occhi . E Pasquale e Benedetto da capo. E così fino all'alba.
All'alba si inchinarono e presero licenza.
Ma il Principe fece loro dire queste precise parole: - Mi avete risuscitato da morte. Ora volete di nuovo farmi morire? Io morirò, se voi mi private di questa consolazione. - Pasquale e Benedetto rimasero. E ogni volta che rifacevano la musica loro, ecco, si rinnovava il miracolo. Il Principe rivedeva il suo spento figliuolo, e di nuovo lo possedeva e parlava con lui, se lo poneva sulle ginocchia, e gli baciava i riccioli d'oro. Il Principe era felice! Passa un mese, ne passa un altro, e un altro ancora. Al quarto, Pasquale e Benedetto dissero al Principe:
- Altezza, lasciateci seguire il nostro destino.
Il Principe non ebbe cuore di opporsi. Ma sul punto di congedarli disse:
- Come potrei rimeritarvi del bene che mi avete fatto?
- Noi non desideriamo nulla - risposero i due fratelli. - Grazie.
Tuttavia il Principe fece portare un sacco e caricarlo sopra un mulo.
- La Divina Provvidenza vi guardi! - Augurò di sulla porta del castello.

***

Non avevano camminato mezz'ora che Benedetto incuriosito disse:
- Se vedessimo un poco cosa c'è dentro il sacco?
Apersero il sacco. Spavento! Stipato d'oro. Come credere ai propri occhi? Non avevano mai visto tanto oro come un'unghia: e adesso d'un colpo, un sacco pieno: un monte!
Sopraffatti dalla sorpresa, stavano lì, con gli occhi attaccati all'oro, senza battere ciglia. E Benedetto disse:
- Chi sa come abbiamo cantato e sonato bene,, per meritare tutto questo!
Così disse: ma in fondo al cuore pensava: - Che straordinario merito mi son fatto io! In verità mi sono fatto molto più merito di mio fratello.
Pasquale dal canto suo pensava la medesima cosa, giacché la vista dell'oro aveva anche a lui colmato il cuore d'orgoglio. Tutti e due pensavano il medesimo, e nessuno osava manifestarsi. Finalmente Benedetto disse:- E ora? come faremo a dividerci quest'oro?
Pasquale disse:
- L'unico che possa farci le giuste parti è il Principe. Vogliamo tornare da lui?
Si voltarono indietro. E mentre andavano, ciascuno d'essi pensava: - La più grossa parte toccherà a me. Certamente toccherà a me.
Arrivati alla presenza del Principe, dissero:
- Altezza, fateci voi due giuste parti.
Il Principe non ci pensò guari. Rispose asciutto:
- Metà per ciascuno.
Pasquale e Benedetto se ne tornarono via di malumore. Ciascuno d'essi pensava:
- Il Principe non s'intende di musica. Che razza di giudizio ha mai dato!
Tuttavia tacevano. Non avevan voglia di parlare. Sentivano, per la prima volta, ciascuno nel proprio cuore, qualcosa di tristo e di iroso che v'era entrato e gli impediva di fondersi come un tempo con l'altro liberamente, abbandonatamene. Ed evitavano di guardarsi negli occhi. La sera contarono l'oro, e ne fecero due mucchi uguali. Ciascuno dormì con accanto il suo mucchio. L'indomani, appena svegli, il primo pensiero fu di ricontar l'oro. Ma quale non fu la sorpresa: al posto dell'oro, pietre!
- Questo è stato qualche cattivo incantesimo - disse Benedetto, che ancora credeva alle streghe.
Ma Pasquale disse: - Sciocco! Sono stati i ladri!
Tutti e due erano afflitti. Pensavano con rodimento al fiammeggiante oro così presto svanito. Pasquale guardava a terra, istupito. Benedetto disse:
- Torniamo dal Principe? Certo, quando saprà la disgrazia avrà compassione di noi, e ci farà dare un altro sacco. E' così buono!
E corsero dal Principe. Il quale li ascoltò benignamente, e li tranquillò subito, ordinando al suo tesoriere di consegnare un nuovo sacco d'oro in tutto  uguale al primo. Ma all'ultimo disse ai due fratelli.
- Giacché la sorte  vi ha riportati qui, fatemi ancora una volta udire la vostra bella musica. Ne ho una sete!
Pasquale e Benedetto attaccarono, in mezzo a un religioso silenzio.
Ma subito si vide che non erano ispirati, e non andavano d'accodo. Il primo pezzo ebbe un magro successo, il secondo lasciò freddi, il terzo spiacque addirittura.
Da un capo all'altro della sala si diffuse un senso di delusione e d'inquietudine.
Evidentemente  il miracolo questa volta non si era compiuto: nessuno aveva veduto e posseduto ciò che desiderava.
Ma i cortigiani  non osavano aprir bocca. Essi fissavano il Principe il cui viso, scambio di rischiararsi, incupiva sempre più. Il Principe ebbe uno scoppio di collera.
- Sciagurati ! - gridò rivolto ai due musici. - Dov'è il mio figliuolo? Non ho visto nulla, io! Voi mi avete ingannato! Vi coprivate colla frode per carpirmi dell'altro oro! siete due volgari impostori, voi.Via dalla mia presenza!
Pasquale e Benedetto fuggirono come cani battuti. E si ritrovarono in mezzo alla strada tremando come l'erba, con grande onta e a mani vuote.
- Ciò  non sarebbe successo se tu avessi meglio suonato! - proruppe Pasquale.
- Cioè se tu avessi meglio cantato - ribatté Benedetto.
A vicenda si gettavan la colpa addosso, con le male parole. E si scagliavan occhiate astiose. E stringevano i pugni.
- Separiamoci - disse Pasquale alla fine. - E ciascuno vada per la sua strada. Vedremo di chi sarà la fortuna.
Si separarono, e s'incamminarono l'uno a destra e l'altro a sinistra, ciascuno per la propria strada.

***

Ma la fortuna non fu di nessuno.
Nè la voce di Pasquale né la chitarra di Benedetto commovevano un'anima, più. Le finestre delle case rimanevano chiuse. Intorno ai musici non si raccoglievano che i vagabondi e cani randagi. Tutto il resto, deserto.
Essi non sapevano capacitarsi di ciò. E inveivano contro il pubblico ignorante e corrotto, tanto lontani erano dal sospettare che il torto fosse del loro cuore, che una volta era pieno del puro amor della musica, e ora invece tante cose amare e cattive lo ingombravano e non vi avanzava posto per altro.
Desolati e stanchi morti, senza un'oncia di pane da sfamarsi, senza un amico al quale confidarsi, si risovvennero del loro villaggio e della loro mamma: e ritornarono a lei, ciascuno per la propria strada.
La povera donna, dopo il primo sfogo di tenerezza, si affrettò a domandare:
- E ora? Lo imparerete un mestiere?
I due fratelli non dissero di no, visto che un mestiere era ormai necessario a campare.
Pasquale si fece bifolco.
Benedetto spaccapietre.
La sera, quando cadeva il sole e le strade diventavano buie, essi rientravano nella casa e buttavano in un canto gli arnesi. E sedevano accanto alla madre. E la madre rideva, tutta gioiosa.
Ma Pasquale e Benedetto no. Ripensavano alla bella musica per sempre disimparata e perduta; e , non visti, con una mano sugli occhi , piangevano.

 

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