La pelle dell'orso
Cristoforo Schemid
(da "Le Novelline", rid. Maria Pezzè Pascolato, Hoepli,
Milano)
La gente del villaggio era tutta impaurita,
perché nel bosco vicino era apparso un orso terribile; e nessuno si arrischiava
più ad uscire dall'abitato.
Un giorno capitarono alla locanda due giovanotti forestieri, cacciatori di
professione; e, udito di quell'orso, franchi e sicuri dissero all'oste:
"Lasciate fare a noi! Gli faremo noi la festa, in quattro e
quattr'otto!".
Si fecero dire il punto preciso del bosco dove l'orso era stato veduto, la parte
ove si credeva che fosse, le macchie ove se n'era riscontrata la traccia.
"Lasciate fare a noi! Domattina ci appostiamo lì".
E la mattina, puntuali, andarono al bosco. Batterono i sentieri indicati,
frugarono la macchia: ma di orso, nemmeno l'ombra.
"Non s'è lasciato vedere: ha avuto paura di noi. Ma domani non ci
sfuggirà".
Intanto, sebbene non avessero il becco d'un quattrino, ogni sera ordinavano
all'oste un fiasco del migliore e mangiavano e bevevano allegramente. "Lo
scotto" - dicevano, - "lo pagherà l'orso con la sua pelle !".
Ma un giorno, che percorrevano di nuovo per la centesima volta, i sentieri del
bosco, eccoti l'orso per davvero - un orso nero, enorme, che si avanzava
brontolando minacciosamente.
Uno dei giovanotti puntò subito il fucile e fece fuoco: ma per la gran paura il
braccio gli tremava, e il colpo andò fallito. Egli non istette lì ad aspettare
che impressione avesse fatto all'orso lo sparo: si arrampicò lesto come uno
scoiattolo sull'albero più alto che si trovò vicino, e vi si appollaiò tutto
ansante.
L'altro aveva fatto anch'egli per isparare: ma fosse paura, fosse disgrazia, il
fucile gli fe' cecca e il colpo non partì. L'orso sempre più infuriato si
avvicinava, senza lasciargli il tempo di salire come il compagno si di un
albero, e allora, vedendosi spacciato, il nostro giovinotto ebbe un'idea.
Sapeva che gli orsi non toccano i morti, ed egli si buttò a terra lungo
disteso, trattenendo perfino il respiro, per fingersi morto.
L'orso gli fu subito sopra. Gli annusò la bocca, gli occhi, gli orecchi, sempre
brontolando e sbuffando; poi, come sdegnoso si allontanò e si perdette
tra gli alberi.
Per un pò di tempo, nè l'uno nè l'altro dei due cacciatori si arrischiò a
fiatare. Poi, il primo si lasciò scivolare piano piano dall'albero, e si
avvicinò al compagno, il quale stava sempre disteso a terra, che per poco dallo
spavento non era morto davvero.
A vedergli quella cera livida, gli venne quasi da ridere: "Ohe,
biondino!" -chiamò: - "L'orso ti ha parlato all'orecchio, eh? Che ti
ha detto di bello?"
L'altro levò il capo prima, guardò tra mezzo agli alberi, se proprio l'orso
non si vedesse più; poi cominciò a levarsi, a fatica, come se l'avessero
bastonato.
- "L'orso mi ha detto" - rispose - "che non bisogna vendere la
sua pelle prima d'averla nelle mani!".
E tutti e due dettero in una risata amara, pensando alle passate vanterie ed al
conto dell'oste, che rimaneva da pagare.
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