LEGGENDE

Il paese di Corbetta, a pochi chilometri da Milano, fa derivare scherzosamente il suo nome da un'antica leggenda.
Era una sera buia e nebbiosa, una di quelle sere in cui, come si dice in Lombardia, la nebbia si taglia col coltello.
Un cavaliere,tutto ravvolto in un mantello di foggia militare, spingeva la sua mula per una delle vie dei sobborghi, verso l'aperta campagna, incitandola a tenere un buon passo.
Faceva freddo e la mula avrebbe desiderato rifugiarsi nella sua tepida stalla di Milano; invece trottava coraggiosamente, allontanandosi sempre più dalla città, almeno così sembrava al misterioso cavaliere.
Ad un certo punto il cavaliere allentò le redini, immerso in profondi pensieri, e lasciò che la sua cavalcatura scegliesse a piacere la strada.
"Oramai saremo abbastanza lontani da Milano" pensava. "Betta, la mia mula, è una buona camminatrice. Starò lontano finchè ai miei Milanesi sarà passata la bella idea di volermi eleggere Vescovo della loro città. Proprio io che sono un militare."
Tutta notte, uomo e cavalcatura viaggiarono di buona lena. Quando l'alba spuntò, Ambrogio si guardò intorno, curioso di sapere dove mai fosse giunto dopo tanto trotterellare per strade tortuose e sconosciute.
S'accorse allora con spavento che la sua mula aveva girato intorno alla città per tutta la notte, e che si trovavano ancora nei pressi di Milano.
Già la gente usciva dalle case e gli si accalcava intorno.
Subito Ambrogio incitò l'animale a cambiar direzione e, curvandosi sull'arcione, gridò spaventato, usando quel dialetto che oramai gli era diventato familiare: "Cur, Betta... Cur Betta!" Cioè "Corri, Betta... Corri Betta!".
Ma invano. Tutte le campane della città s'erano messe a suonare a distesa, come per annunciare alla popolazione che il futuro gran Vescovo era fra loro.
Ambrogio dovette cedere alla volontà del popolo e del Cielo.
Ma al piccolo paese, da quel giorno rimase come un nome il grido di Ambrogio: "Cur Betta...". Corbetta, appunto.