La pietra dello scandalo
Venerio Orlandi
(da "Il giovanetto filologo", Zanichelli, Bologna)
E poi venitemi a dire che
"Declina il mondo e
peggiorando invecchia!"
Adesso, a un disgraziato che siasi
ingolfato nei debiti fino agli occhi e non abbia modo di pagarli, nessuno
può torcere un capello; la sua miseria è sacra ed inviolabile, anche
quando sia figlia naturale de' vizi e della scioperaggine di lui! Ma non
andò sempre così. Pochi anni addietro esso era imprigionabile: il
creditore di una somma non minore di lire cinquecento poteva benissimo
mandare il suo debitore in gattabuia, dove però aveva obbligo di spesarlo
di tutto punto: sicchè, male malanno e uscio addosso!
Assai diversamente procedevano le cose nell'antica Roma verso gli ultimi
anni della Repubblica; quell'infelice, se voleva liberarsi da molti
fastidi e dalla persecuzione de' suoi creditori, era costretto andare a
sedersi sopra una pietra che sorgeva all'ingresso del Campidoglio e da lì
gridare a loro altamente: vi cedo i miei beni. Dopo ciò a niuno era più
lecito di molestarlo
Quella si chiamava la pietra dello scandalo, perché li dimostrava
debitori insolvibili: i quali erano da quell'atto disonorati e perdevano
la facoltà di far testamento e persino di testimoniare in giudizio.
Eppure questo era nulla a petto di quanto veniva fissato per essi nelle
leggi romane più antiche. Le quali ponevano il debitore, che non avesse
entro il termine stabilito soddisfatto il creditore, in piena balia di
costui, che poteva bastonarlo, venderlo, ucciderlo.
Voi, giovinetti, direte: tu sei la pietra dello scandalo a chi dia altrui
malo esempio colle parole e colle opere, e starete lontani da lui: che,
come sapete, basta una pera fradicia a infradiciare tutte le buone!
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